giovedì, aprile 15, 2021

Agrigento distopica ai tempi del Covid

Correvo, la paura scatenava l'adrenalina al punto da non farmi sentire il dolore alla gamba che mi perseguitava da anni; scappavo a perdifiato tra le vie della città, e quasi tutto era buio.
Non sapevo chi fossero i miei inseguitori, sapevo solo che poco prima di tornare a casa, per via del coprifuoco nazionale, un africano sopra al metro e novanta mi aveva raggiunto, ponendosi davanti a me con sguardo minaccioso mentre altri due erano sbucati dai lati.
"Scusa, dovrei passare, ti serviva qualcosa?" gli chiesi cercando di non far trapelare quanto fossi impaurito; a parte me e loro, le strade erano del tutto deserte, e la luce fioca del vicolo che avevo preso come scorciatoia lo rendeva scarsamente illuminato.
"Perché tu qui? Cosa vuoi?!" mi domandò in modo brusco quell'energumeno, era palese che spacciassero erba e fumo; del resto la città vecchia ormai era diventata la loro zona, ed oltre ad essa ormai avevo sforato ampiamente anche con l'orario.
"Vorrei solo passare, mi stanno aspettando" dissi, poi fu il buio totale. Sentii un tonfo pesante davanti a me ed altri due ai lati, ritornò la luce, stavolta ad intermittenza, e fu lì che li vidi: i tre bestioni erano stesi a terra con gli occhi sbarrati a fissare un punto nel vuoto.
Non mi ero reso conto di nulla, pensavo fosse una sorta di assurdo stratagemma prima di un attacco da parte loro, ma sembravano morti.
D'un tratto il gelo, sentii un vento ghiacciaio attraversarmi il corpo e percepii come l'eco di un urlo lontano; solo che in un qualche assurdo modo che non so spiegarmi sembrava provenire da molto vicino.
In un primo momento ero paralizzato dalla paura, come quel vento gelido attraversò nuovamente il mio corpo, seguito dallo stesso grido di prima, saltai oltre l'africano che giaceva dinanzi a me ed iniziai a correre.
A pochi metri da lì c'erano delle scale, una discesa che portava ad una via parallela alla ferrovia; scesi i gradini il più velocemente possibile: correndo, saltando, rischiando più volte di cadere.
Pur non volendolo fare mi girai, non sapevo se fosse solo suggestione ma avevo la sensazione di essere inseguito da qualcuno o da qualcosa.
Mi sembrò di intravedere figure sfocate, ombre; e dove esse passavano ogni luce cessava di esistere, così tornai a guardare avanti senza mai smettere di correre.
Poche decine di metri più avanti avrei raggiunto la piazza della stazione. Intravidi due pattuglie della polizia piazzate lì, sicuramente per far rispettare il coprifuoco: erano ferme e con le luci delle sirene accese. I poliziotti vedendomi correre nella loro direzione, per di più senza mascherina, mi intimarono di rallentare e di raggiungerli.
Non rallentai, riuscii solo a dire con un filo di voce: "aiuto". 
Clac: si spensero le luci della stazione.
Clac: si spensero i lampioni.
Ormai avevo raggiunto i poliziotti; i cui volti perplessi erano illuminati di blu dalle sirene delle loro macchine.
Clac: si spensero anche quelle ultime luci, ed il blu lasció il posto solo al nero.
Persino le nuvole sembravano essersi messe d'accordo per coprire come un manto tutte le luci della notte.
Nulla, solo silenzio, che sarebbe stato assoluto se non fosse per il rumore del mio respiro affannato dopo la corsa di poco prima.
Misi la mano nella borsa a tracolla e ne tirai fuori il cellulare; ero rimasto con meno del quindici percento di batteria, attivai l'applicazione della torcia e guardai intorno impaurito.
Attorno a me giacevano i quattro poliziotti, anche loro con gli occhi sbarrati ed il volto contorto dal terrore; sembrava quasi che la vecchiaia li avesse colti all'improvviso, prosciugandoli degli anni rimasti.
La torcia del cellulare si era messa improvvisamente a lampeggiare, lasciando spazio ad una sempre più fievole luce che minacciava di spegnersia breve.
Il vento gelido mi attraversó nuovamente la carne; questa volta era come se il gelo mi si fosse avvinghiato sin dentro gli organi e le ossa.
Sentii nuovamente quell'urlo disumano, stavolta lo sentivo provenire da dentro al mio corpo: urlò, urlai, urlammo, ed il vento sembró rispondere, poi di nuovo più nulla.
Mi ritrovai carponi a vomitare al buio, come fossi ubriaco fradicio, poi mi sentii affogare; quel vomito nero, che sembrava sangue rappreso, per una qualche forza misteriosa mi stava ritornando in gola e scendendo fin giù nello stomaco, come la scena di un video rivisto al contrario.
Davanti a me si riaccese qualche sporadico lampione, mi rimisi in piedi e lasciai tutto di quella notte alle spalle; per ogni luce che mi si accendeva davanti, una dietro si spegneva dopo averla superata, l'oscurità ero io.
Una volta giunto a casa il mio cane iniziò a festeggiarmi ed a saltarmi addosso come se non mi avesse visto da giorni.
Dopo essermi lavato le mani ed infilato il pigiama presi una bottiglia d'acqua e la bevvi a grandi sorsate.
"Buonanotte" dissi al cane dopo averle dato un bacio sulla testa, ed una volta spenta la luce e messo sotto le coperte, fissai l'oscurità e ripetei con un sussurro: "Buonanotte."

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