I DUE AMANTI
“Non
può esserci amore più grande e puro di un amore tra due razze, come
quello tra un uomo ed un elfa”
Nel
Nord più profondo, al confine oltre la Capitale di Eldum, vi era una
foresta antica come la notte, Trillian, essa era una delle ultime
riserve degli elfi.
Lì
viveva Ginlin, un’elfa dai capelli biondo platino, molto
popolare
tra i membri del suo popolo oltre che per la sua bellezza per il suo
canto melodioso che riusciva a calmare tutte le creature della
foresta, anche le più feroci.
Ginlin
aveva un animo dolce ma avventuroso, era pura come la sorgente che
scorreva lungo la montagna adiacente alla foresta, fino a formare un
lago limpido dove era solita fare il bagno libera dalle sue vesti,
lontana da sguardi indiscreti.
Un
giorno, nella foresta di Trillian, si era recato un cacciatore della
Capitale, Robert, egli
era ancora giovane, erano solo venti i suoi anni ed a causa del suo
animo intrepido ed
incosciente
si era spinto più in la di quanto il patto tra umani ed elfi
prevedeva.
Perso
il sentiero, continuava a camminare senza riuscire a trovare punti di
riferimento
e le uniche cose che riusciva
a scorgere
erano alberi a perdita d'occhio, ricoperti da muschio e
circondati da
cespugli e funghi.
Ad
un certo punto del suo cammino, ormai stanco e col
tramonto più vicino,
Robert sentì il
canto sommesso
di
una voce femminile e poco più avanti
il suono
dell’acqua.
Avendo
esaurito
la
propria riserva d’acqua
dalla sua borraccia seguì quel
suono fino a trovarsi di fronte al lago.
Ginlin
era lì, stava finendo di rivestirsi, canticchiando un motivo a bassa
voce, quand’ecco che incrociò lo sguardo dell’umano invasore.
Ella
parlò nella lingua comune, appariva giovane e per un’elfa lo era
davvero ma aveva già compiuto i suoi primi cento anni, senza
tuttavia aver mai visto un essere umano prima d’allora.
-
“Chi siete
voi
che disturbate
col
fragore
insolente del vostro
fiato e con quei
passi pesanti la tranquillità eterna della foresta e del lago?
Chiese
Ginlin severa ma al tempo stesso incuriosita dall’umano.
-
“Perdonatemi mia Signora, inseguivo una lepre fintanto
che
mi sono perso, ho camminato a lungo, non era mia intenzione
disturbarvi” rispose il
ragazzo,
visibilmente
sudato
ed assetato.
-
“Qual è il vostro nome? Io sono Ginlin e siete fortunato ad aver
incontrato me per prima e non i
ranger
del mio popolo…avete un aspetto a dir poco impresentabile” disse
ridacchiando
e
proseguì: -” Venite avanti, dissetatevi pure”.
Il
ragazzo si asciugò il sudore dalla fronte con una
manica
ed
avvicinatosi
al lago, riempì la borraccia e cominciò a bere a lunghe sorsate.
-
“Perdonatemi per i miei modi ma come potete vedere sono esausto e
disperso, il mio nome è Robert e vengo da Eldum. Non ho potuto fare
a meno di sentirvi cantare ed
è solo grazie a voi
se sono riuscito a raggiungere il lago per potermi
dissetare,
vi sono debitore.”
Egli
osservava incuriosito le lunghe orecchie leggermente ricurve
dell’elfa mentre Ginlin guardava con altrettanto stupore l’aspetto
un
po’ goffo
e trasandato di quel giovane, i due si studiarono a lungo ed entrambi
sorrisero.
Il
tramonto era giunto al suo culmine e le ultime luci del giorno si
ritiravano per lasciare il loro posto alle ombre della sera, il
ragazzo era visibilmente preoccupato.
L’elfa,
osservandolo, gli disse sorridendo
maliziosamente:
-
“Non penso sia il caso di lasciarvi morire tra i pericoli della
notte, vi sono talune
creature
di
questa
foresta che sarebbero ben
felici
di saziarsi di una
così facile preda
così
come i ranger potrebbero scambiarvi facilmente per un puntaspilli e
colpirvi con le loro
molte
frecce”.
Robert,
decisamente
spaventato,
rispose:
-
“Mia
Signora, vi scongiuro, non lasciatemi morire nella notte...”
-
“Non è nelle
mie
intenzioni.”
disse con un sorriso ora più compassionevole “La
notte è lunga e perigliosa, seguitemi.” Detto ciò si lasciò
seguire per un breve tratto e gli indicò una grotta.
-
“Non dovrebbero abitarvi creature spaventose” disse sorridendo
l’elfa ed aggiunse ridendo di gusto “Entrate, vi mostro dove di
tanto in tanto sono solita appisolarmi ma non ditelo in giro, mi
raccomando!”.
Robert
la seguì fin dentro la grotta, sembrava perfetta per passarvi
la
notte, vi era della paglia in un angolo che in
seguito si
rivelò
essere un comodo giaciglio.
Mentre
il giovane ragazzo pensava a come meglio sistemarsi, l’elfa lo vide
sfregarsi
le
braccia con
le mani
per il freddo.
-
“Non spaventatevi adesso”
disse l’elfa, e dopo
aver proferito un incantesimo si accese una fiamma su
una piccola catasta di legno dentro
la grotta, seguì un altro incantesimo ed apparve un lupo bianco come
la neve, Argas.
Robert
strabuzzò gli occhi dallo stupore, poi Ginlin aggiunse:
-
“Lui è Argas, è il mio Famiglio, non abbiatene timore, non vi
farà nulla...a meno che io non desideri farvene” e sorrise.
Ella
si sedette sopra
la paglia,
con le spalle poggiate sulla parete della grotta e
le
mani rivolte verso le fiamme, poi
invitò
Robert a fare lo stesso così che egli
la raggiunse e si
rannicchiò
accanto
a lei. Le
guance ritrovarono il rossore naturale
grazie al calore delle
fiamme,
intanto anche
Argas
si era accucciato comodamente
accanto
al fuoco, sereno e leggermente assopito dal sonno.
-
“Alle prime luci dell’alba dovrete lasciare questo luogo” disse
l’elfa ed aggiunse: “Vi guiderò fino al sentiero che conduce
alla Capitale, stanotte la passeremo qui, con al vostro
fianco
me ed il mio cucciolo non correrete
certo alcun
rischio”.
Robert,
ormai ripresosi del tutto si ritrovò a fissare ammaliato il volto
dell’elfa, un volto così bello ed incantevole che solo nelle fiabe
poteva trovare riscontro, gli occhi erano verdi, la pelle candida ed
i capelli le scorrevano lungo le spalle fino a scendere giù
lungo il suo corpo,
incorniciando i suoi seni perfetti come
in un quadro.
Anche
Ginlin era affascinata dall’umano, a
modo suo così diverso
e dolcemente buffo ai suoi occhi, così dissimile dagli elfi...ed
appoggiò la testa sulla spalla di Robert, in modo spensierato e
naturale tanto che
il volto del ragazzo in un primo momento avvampò per l’imbarazzo e
poi, timidamente, avvolse l’elfa con un braccio intorno alle
sue
spalle,
senza però riuscire a guardarla direttamente
negli occhi.
Ginlin
sorrise e si strinse affondando il proprio viso sul petto di Robert,
che si ritrovò ad accarezzarle quei suoi lunghi capelli color
platino che per via del fuoco
riflettevano ora i colori cangianti
delle fiamme.
L’attimo
era eterno, il lupo emise un leggero sbuffo e ritornò a ronfare, né
l’uomo né l’elfa avevano mai conosciuto l’amore, ma quella
sera provarono emozioni fino ad allora sconosciute.
Ginlin
ad un tratto stupì profondamente l’umano,
togliendosi di
dosso il
proprio vestito adornato dai colori della foresta, color corteccia e
color della foglia, ed invitò l’uomo con uno sguardo ad occhi
socchiusi, colmi d’eccitazione, a fare lo stesso.
L’elfa
accompagnò Robert
con
le proprie mani fino a farlo
poggiare
disteso sulla paglia, poi
si sedette sul corpo di
lui,
poggiando
le proprie
ginocchia sul suolo e lasciando che il bagliore del fuoco le baciasse
il corpo, in un gioco di luci ed ombre con la sua pelle, con i suoi
capelli e con i suoi seni.
Robert
non era stato mai così tanto eccitato prima di allora, da quella
posizione
si sfilò goffamente i pantaloni fino a fare quasi perdere
l’equilibrio a Ginlin, poi guardandola incantato iniziò dapprima
timidamente, poi con una certa sicurezza, ad accarezzare l’esile
corpo
dell’elfa.
Le
accarezzò
i
fianchi, il ventre piatto, le cosce, il fondoschiena e fece
salire le proprie mani con fare sempre più
coraggioso fino a toccarle i seni ed il viso.
Ginlin
gemette e socchiuse nuovamente gli occhi per il piacere, mordendo con
le sole labbra l’indice del ragazzo e cominciò ad oscillare avanti
ed indietro come in una danza.
Il
ragazzo chiese tra l’eccitazione e l’imbarazzo: - “Posso…?”
le
labbra dell’elfa si allargarono in un sorriso e si limitò a dire:
- “Puoi...”.
Il
ragazzo diventò uomo quella stessa notte, penetrò l’elfa con
vigore crescente, i loro corpi si erano fusi in un unico corpo ed i
loro sensi si confondevano tra le fiamme, tra i sussurri e tra i
gemiti, come fossero
un unico
suono, nella notte.
Come
di consueto arrivò il mattino, le prime luci dell’alba svegliarono
Ginlin che a sua volta svegliò Robert con un dolcissimo
e morbido
bacio sulle
labbra,
lei era splendida,
e
per
quanto fosse
possibile,
anche più bella e radiosa del solito.
I
due rimasero qualche istante ancora distesi ed abbracciati, gli occhi
di lui erano come quelli di un bambino al primo giorno di scuola,
troppo stanchi per restare aperti e troppo
vogliosi di incontrare lo
sguardo di
lei per
restare chiusi.
I
due si alzarono, si rivestirono ed una volta spento ciò che rimaneva
delle fiamme con un incantesimo, uscirono dalla grotta per lavarsi il
volto con l’acqua della sorgente, poi si incamminarono emozionati
ma anche un po’ tristi verso il sentiero che avrebbe riportato
l’uomo a casa.
Questa
volta Robert fece molta attenzione al percorso e Ginlin, di tanto in
tanto, gli faceva notare punti di riferimento che altrimenti lui non
avrebbe notato.
Si scambiarono la promessa di ritrovarsi al lago al mattino dopo ogni luna nuova e non mancarono mai di rispettarla.
Si scambiarono la promessa di ritrovarsi al lago al mattino dopo ogni luna nuova e non mancarono mai di rispettarla.
Passarono
nove mesi e Ginlin ebbe una bambina, non si poteva definire elfa e
neanche umana, era una mezzelfa, i cui occhietti,
aperti
già
dopo
poche ore dalla nascita,
promettevano sin d’allora
di avere il carattere stoico e nobile degli elfi e tratti tipici
degli umani
come la curiosità per
la
scoperta e
la propensione a cacciarsi nei guai.
La
bambina fu chiamata Ellem.
Ellem
aveva grandi occhi
azzurri come il cielo, la pelle chiara, giallastra, i
capelli color dell’oro e delle spighe al tramonto, i
lineamenti del viso richiamavano entrambi i genitori, a tratti
spigolosi e al tempo stesso delicati come
gli elfi ed a tratti leggermente più marcati come gli umani mentre
le orecchie erano più lunghe di quelle degli uomini e più corte di
quelle degli elfi, con una simpatica piega verso il basso.
La
bambina crebbe velocemente per i primi diciott’anni della sua vita
e
fu sempre
molto amata da entrambi i genitori ma non
fu mai
veramente accettata dalle due razze così
diverse.
Imparò
i rudimenti della magia ed i segreti della foresta dalla
madre, mentre quando si
trovava
col padre era
solita indossare
una mantella grigia con il cappuccio calato sulla propria testa, per
nascondere agli uomini la propria natura di mezzelfa, celando
quelle
orecchie per
i più così
strane... ma questa è un’altra storia, la storia della fantastica
vita di Ellem.
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