venerdì, settembre 13, 2019

I due amanti



I DUE AMANTI


Non può esserci amore più grande e puro di un amore tra due razze, come quello tra un uomo ed un elfa”


Nel Nord più profondo, al confine oltre la Capitale di Eldum, vi era una foresta antica come la notte, Trillian, essa era una delle ultime riserve degli elfi.
Lì viveva Ginlin, un’elfa dai capelli biondo platino, molto popolare tra i membri del suo popolo oltre che per la sua bellezza per il suo canto melodioso che riusciva a calmare tutte le creature della foresta, anche le più feroci.
Ginlin aveva un animo dolce ma avventuroso, era pura come la sorgente che scorreva lungo la montagna adiacente alla foresta, fino a formare un lago limpido dove era solita fare il bagno libera dalle sue vesti, lontana da sguardi indiscreti.
Un giorno, nella foresta di Trillian, si era recato un cacciatore della Capitale, Robert, egli era ancora giovane, erano solo venti i suoi anni ed a causa del suo animo intrepido ed incosciente si era spinto più in la di quanto il patto tra umani ed elfi prevedeva.
Perso il sentiero, continuava a camminare senza riuscire a trovare punti di riferimento e le uniche cose che riusciva a scorgere erano alberi a perdita d'occhio, ricoperti da muschio e circondati da cespugli e funghi.
Ad un certo punto del suo cammino, ormai stanco e col tramonto più vicino, Robert sentì il canto sommesso di una voce femminile e poco più avanti il suono dell’acqua.
Avendo esaurito la propria riserva d’acqua dalla sua borraccia seguì quel suono fino a trovarsi di fronte al lago.
Ginlin era lì, stava finendo di rivestirsi, canticchiando un motivo a bassa voce, quand’ecco che incrociò lo sguardo dell’umano invasore.
Ella parlò nella lingua comune, appariva giovane e per un’elfa lo era davvero ma aveva già compiuto i suoi primi cento anni, senza tuttavia aver mai visto un essere umano prima d’allora.
- “Chi siete voi che disturbate col fragore insolente del vostro fiato e con quei passi pesanti la tranquillità eterna della foresta e del lago?
Chiese Ginlin severa ma al tempo stesso incuriosita dall’umano.
- “Perdonatemi mia Signora, inseguivo una lepre fintanto che mi sono perso, ho camminato a lungo, non era mia intenzione disturbarvi” rispose il ragazzo, visibilmente sudato ed assetato.
- “Qual è il vostro nome? Io sono Ginlin e siete fortunato ad aver incontrato me per prima e non i ranger del mio popolo…avete un aspetto a dir poco impresentabile” disse ridacchiando e proseguì: -” Venite avanti, dissetatevi pure”.
Il ragazzo si asciugò il sudore dalla fronte con una manica ed avvicinatosi al lago, riempì la borraccia e cominciò a bere a lunghe sorsate.
- “Perdonatemi per i miei modi ma come potete vedere sono esausto e disperso, il mio nome è Robert e vengo da Eldum. Non ho potuto fare a meno di sentirvi cantare ed è solo grazie a voi se sono riuscito a raggiungere il lago per potermi dissetare, vi sono debitore.”
Egli osservava incuriosito le lunghe orecchie leggermente ricurve dell’elfa mentre Ginlin guardava con altrettanto stupore l’aspetto un po’ goffo e trasandato di quel giovane, i due si studiarono a lungo ed entrambi sorrisero.
Il tramonto era giunto al suo culmine e le ultime luci del giorno si ritiravano per lasciare il loro posto alle ombre della sera, il ragazzo era visibilmente preoccupato.
L’elfa, osservandolo, gli disse sorridendo maliziosamente:
- “Non penso sia il caso di lasciarvi morire tra i pericoli della notte, vi sono talune creature di questa foresta che sarebbero ben felici di saziarsi di una così facile preda così come i ranger potrebbero scambiarvi facilmente per un puntaspilli e colpirvi con le loro molte frecce”.
Robert, decisamente spaventato, rispose:
- “Mia Signora, vi scongiuro, non lasciatemi morire nella notte...”
- “Non è nelle mie intenzioni.” disse con un sorriso ora più compassionevole “La notte è lunga e perigliosa, seguitemi.” Detto ciò si lasciò seguire per un breve tratto e gli indicò una grotta.
- “Non dovrebbero abitarvi creature spaventose” disse sorridendo l’elfa ed aggiunse ridendo di gusto “Entrate, vi mostro dove di tanto in tanto sono solita appisolarmi ma non ditelo in giro, mi raccomando!”.
Robert la seguì fin dentro la grotta, sembrava perfetta per passarvi la notte, vi era della paglia in un angolo che in seguito si rivelò essere un comodo giaciglio.
Mentre il giovane ragazzo pensava a come meglio sistemarsi, l’elfa lo vide sfregarsi le braccia con le mani per il freddo.
- “Non spaventatevi adesso” disse l’elfa, e dopo aver proferito un incantesimo si accese una fiamma su una piccola catasta di legno dentro la grotta, seguì un altro incantesimo ed apparve un lupo bianco come la neve, Argas.
Robert strabuzzò gli occhi dallo stupore, poi Ginlin aggiunse:
- “Lui è Argas, è il mio Famiglio, non abbiatene timore, non vi farà nulla...a meno che io non desideri farvene” e sorrise.
Ella si sedette sopra la paglia, con le spalle poggiate sulla parete della grotta e le mani rivolte verso le fiamme, poi invitò Robert a fare lo stesso così che egli la raggiunse e si rannicchiò accanto a lei. Le guance ritrovarono il rossore naturale grazie al calore delle fiamme, intanto anche Argas si era accucciato comodamente accanto al fuoco, sereno e leggermente assopito dal sonno.
- “Alle prime luci dell’alba dovrete lasciare questo luogo” disse l’elfa ed aggiunse: “Vi guiderò fino al sentiero che conduce alla Capitale, stanotte la passeremo qui, con al vostro fianco me ed il mio cucciolo non correrete certo alcun rischio”.
Robert, ormai ripresosi del tutto si ritrovò a fissare ammaliato il volto dell’elfa, un volto così bello ed incantevole che solo nelle fiabe poteva trovare riscontro, gli occhi erano verdi, la pelle candida ed i capelli le scorrevano lungo le spalle fino a scendere giù lungo il suo corpo, incorniciando i suoi seni perfetti come in un quadro.
Anche Ginlin era affascinata dall’umano, a modo suo così diverso e dolcemente buffo ai suoi occhi, così dissimile dagli elfi...ed appoggiò la testa sulla spalla di Robert, in modo spensierato e naturale tanto che il volto del ragazzo in un primo momento avvampò per l’imbarazzo e poi, timidamente, avvolse l’elfa con un braccio intorno alle sue spalle, senza però riuscire a guardarla direttamente negli occhi.
Ginlin sorrise e si strinse affondando il proprio viso sul petto di Robert, che si ritrovò ad accarezzarle quei suoi lunghi capelli color platino che per via del fuoco riflettevano ora i colori cangianti delle fiamme.
L’attimo era eterno, il lupo emise un leggero sbuffo e ritornò a ronfare, né l’uomo né l’elfa avevano mai conosciuto l’amore, ma quella sera provarono emozioni fino ad allora sconosciute.
Ginlin ad un tratto stupì profondamente l’umano, togliendosi di dosso il proprio vestito adornato dai colori della foresta, color corteccia e color della foglia, ed invitò l’uomo con uno sguardo ad occhi socchiusi, colmi d’eccitazione, a fare lo stesso.
L’elfa accompagnò Robert con le proprie mani fino a farlo poggiare disteso sulla paglia, poi si sedette sul corpo di lui, poggiando le proprie ginocchia sul suolo e lasciando che il bagliore del fuoco le baciasse il corpo, in un gioco di luci ed ombre con la sua pelle, con i suoi capelli e con i suoi seni.
Robert non era stato mai così tanto eccitato prima di allora, da quella posizione si sfilò goffamente i pantaloni fino a fare quasi perdere l’equilibrio a Ginlin, poi guardandola incantato iniziò dapprima timidamente, poi con una certa sicurezza, ad accarezzare l’esile corpo dell’elfa.
Le accarezzò i fianchi, il ventre piatto, le cosce, il fondoschiena e fece salire le proprie mani con fare sempre più coraggioso fino a toccarle i seni ed il viso.
Ginlin gemette e socchiuse nuovamente gli occhi per il piacere, mordendo con le sole labbra l’indice del ragazzo e cominciò ad oscillare avanti ed indietro come in una danza.

Il ragazzo chiese tra l’eccitazione e l’imbarazzo: - “Posso…?”
le labbra dell’elfa si allargarono in un sorriso e si limitò a dire: - “Puoi...”.
Il ragazzo diventò uomo quella stessa notte, penetrò l’elfa con vigore crescente, i loro corpi si erano fusi in un unico corpo ed i loro sensi si confondevano tra le fiamme, tra i sussurri e tra i gemiti, come fossero un unico suono, nella notte.

Come di consueto arrivò il mattino, le prime luci dell’alba svegliarono Ginlin che a sua volta svegliò Robert con un dolcissimo e morbido bacio sulle labbra, lei era splendida, e per quanto fosse possibile, anche più bella e radiosa del solito.
I due rimasero qualche istante ancora distesi ed abbracciati, gli occhi di lui erano come quelli di un bambino al primo giorno di scuola, troppo stanchi per restare aperti e troppo vogliosi di incontrare lo sguardo di lei per restare chiusi.
I due si alzarono, si rivestirono ed una volta spento ciò che rimaneva delle fiamme con un incantesimo, uscirono dalla grotta per lavarsi il volto con l’acqua della sorgente, poi si incamminarono emozionati ma anche un po’ tristi verso il sentiero che avrebbe riportato l’uomo a casa.
Questa volta Robert fece molta attenzione al percorso e Ginlin, di tanto in tanto, gli faceva notare punti di riferimento che altrimenti lui non avrebbe notato.
Si scambiarono la promessa di ritrovarsi al lago al mattino dopo ogni luna nuova e non mancarono mai di rispettarla.
Passarono nove mesi e Ginlin ebbe una bambina, non si poteva definire elfa e neanche umana, era una mezzelfa, i cui occhietti, aperti già dopo poche ore dalla nascita, promettevano sin d’allora di avere il carattere stoico e nobile degli elfi e tratti tipici degli umani come la curiosità per la scoperta e la propensione a cacciarsi nei guai.
La bambina fu chiamata Ellem.
Ellem aveva grandi occhi azzurri come il cielo, la pelle chiara, giallastra, i capelli color dell’oro e delle spighe al tramonto, i lineamenti del viso richiamavano entrambi i genitori, a tratti spigolosi e al tempo stesso delicati come gli elfi ed a tratti leggermente più marcati come gli umani mentre le orecchie erano più lunghe di quelle degli uomini e più corte di quelle degli elfi, con una simpatica piega verso il basso.
La bambina crebbe velocemente per i primi diciott’anni della sua vita e fu sempre molto amata da entrambi i genitori ma non fu mai veramente accettata dalle due razze così diverse.

Imparò i rudimenti della magia ed i segreti della foresta dalla madre, mentre quando si trovava col padre era solita indossare una mantella grigia con il cappuccio calato sulla propria testa, per nascondere agli uomini la propria natura di mezzelfa, celando quelle orecchie per i più così strane... ma questa è un’altra storia, la storia della fantastica vita di Ellem.






Nessun commento: